Cuba +
Poi sono tornato. Un giorno me ne andavo in giro per le case coloniali, la povertà e i patrimoni dell' Unesco, non per forza nell'ordine in cui li ho detti. Pensavo che in fondo non saprei affermare con certezza cosa abbia fatto di buono il socialismo reale in america latina, però le persone che ho incontrato, che senza dubbio hanno le pezze al culo, mi sembrano spensierate, stavo quasi per dire felici. Infatti, se non sbaglio, uno storico una volta ha detto che a Cuba non solo non gliene importa niente, ma non gliene esporta neanche un cazzo. E io sicuramente sono d'accordo. Anche adesso, camminando lungo il selciato con dietro lo sfondo della parete azzurra, che poi diventa turchese e poi diventa ambra, penso che potrei tornare qui altre dieci volte e scoprire che le cose sono cambiate, a parte il sorriso delle persone. Ho conosciuto anche qualcuno che è tornato qui e poi ha deciso di restare a viverci per quattordici anni, per dire. Mi disse che si era innamorato del sole, del rum al gusto di rivoluzione, del tocco di palla di un piccolo Maradona nero senza una scarpa, del poster di Fidel che fuma, della musica suonata per strada e di tanto altro. Ora ho sete, svolto in una stradina che conosco, anche se non ci sono mai stato, e mi rifugio in un bar, perché sta per finire la luce buona del giorno e si comincia a sentire sulla schiena un freddo venticello capitalista. In questo bar, che è anche una bocciofila e tante altre cose, ordino una birra e resto ad ammirare la perfezione verticale di questi ambienti imperfetti, la serena dignità delle cose e delle facce, la penombra. Domani devo partire e mi porto appresso la nostalgia.